mercoledì 25 febbraio 2009

1947: le Nazione Unite non avevano la competenza per dividere la Palestina

Henry Cattan, Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare



29 novembre 1947: il complotto internazionale contro la Palestina
Traduzione del capitolo 6 del libro di Henry Cattan, The Palestine Question, Croom Helm, London, New York, Sydney; 1988, Henry Cattan; pagine: 32-40.
Henry Cattan altri non è che il portavoce dell'Alto comitato arabo che rappresentò il popolo della Palestina durante il dibattito che si articolò sulla questione della Palestina alle Nazioni Unite nel 1947.
La Palestina e le Nazioni Unite
Nella sua lettera al Segretario generale delle Nazioni Unite datata 2 aprile 1947, il governo britannico chiese che la Questione palestinese fosse iscritta all'ordine del giorno della successiva sessione dell'Assemblea Generale, durante la quale sarebbe stata chiamata a pronunciare delle raccomandazioni, secondo l'articolo 10 della Carta, sul futuro politico della Palestina. Una sessione speciale dell'Assemblea Generale per trattare questo problema venne fissata per il 28 aprile 1947.
Cinque stati arabi, Egitto, Iraq, Siria, Libano e Arabia Saudita chiesero al Segretario Generale di includere all'ordine del giorno della sua sessione speciale, la fine del mandato sulla Palestina e la dichiarazione della sua indipendenza.
Il Mandato si conclude con lo scioglimento della Società delle Nazioni
Dobbiamo considerare che il mandato sulla Palestina era oramai legalmente giunto alla sua conclusione a seguito dello scioglimento della Società delle Nazioni (SDN) nell'aprile 1946. Il mandato era esercitato in quanto potere tutelare sotto l'egida della SDN. In una risoluzione adottata nella sua ultima riunione, il 18 aprile 1946, la SDN ricordava che l'articolo 22 della Convenzione inerente ai territori posti sotto mandato, garantiva: il principio al benessere e allo sviluppo dei loro abitanti nei termini di un sacro impegno civilizzatore, e riconosceva anche che, al termine dell'esistenza della SDN, le sue funzioni relative ai mandati sarebbero state destinate a concludersi. La SDN registrò le intenzioni dei suoi membri che amministravano i territori sotto mandato di continuare ad amministrarli per il benessere e lo sviluppo delle relative popolazioni fino a che si fossero trovate le idonee sistemazioni tra le Nazioni Unite e le potenze mandatarie conformemente alla Carta delle Nazioni Unite. Alcuni paesi sotto mandato dichiararono la loro intenzione di concludere degli accordi di amministrazione secondo la Carta, ma la delegazione egiziana spiegò che il mandato si era concluso con lo scioglimento della SDN e, per tanto, la Palestina non sarebbe potuta essere posta sotto amministrazione.
I procedimenti alle Nazioni Unite nel 1947: il piano di spartizione della Palestina
Quando la questione della Palestina fu discussa alle Nazioni Unite nel 1947, gli ebrei ed i palestinesi furono invitati ad esporre i loro punti di vista. I primi, rappresentati dal rabbino Hillel Silver, chiesero la ricostituzione del focolare nazionale ebraico in Palestina conformemente alla Dichiarazione di Balfour, facendo riferimento al martirio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale e lanciando un appello per lo stabilimento di uno stato ebraico in Palestina. L'autore di queste righe [Henry Cattan, vecchio giurista ed avvocato in Palestina prima della creazione di Israele, in Siria, in Giordania ed in Libano, N.d.T.] presentò il punto di vista della Palestina in qualità di portavoce dell'Alto comitato arabo che rappresentava il popolo della Palestina. Si oppose al piano di spartizione e sottolineò che gli arabi della Palestina avevano diritto alla loro indipendenza sulla base della Carta e dei loro diritti naturali ed inalienabili.
Gli stati arabi spiegarono che l'unica soluzione per le Nazioni Unite consisteva nel riconoscimento della fine del mandato insieme all'indipendenza della Palestina. Tuttavia, a seguito delle manovre dei sionisti e dei loro amici, la proposta araba non ottenne la maggioranza richiesta. Al suo posto, l'Assemblea Generale costituì il 15 maggio 1947 un Comitato speciale sulla Palestina (UNSCOP) per redigere un rapporto sulla Questione della Palestina da sottoporre alla successiva sessione. Tuttavia, i palestinesi boicottarono l'UNSCOP e non parteciparono alle sue inchieste. L'UNSCOP propose due piani, uno maggioritario, l'altro di minoranza. Il piano maggioritario prevedeva la fine del mandato e la spartizione della Palestina, la creazione di uno stato arabo e di uno ebraico, con un'unione economica tra loro ed un corpus separatum per la città di Gerusalemme, che sarebbe stata posta sotto regime speciale internazionale amministrato dalle Nazioni Unite. Anche il piano minoritario contemplava la fine del mandato, ma proponeva la creazione di uno stato federale che avrebbe compreso uno stato arabo ed ebraico con Gerusalemme come capitale della federazione. Durante il dibattito che ne seguì, gli arabi rigettarono la proposta di spartizione, considerando il problema della competenza o potere delle Nazioni Unite di raccomandare la spartizione della loro patria in due stati e di conseguenza violare la sua integrità territoriale. Sollevarono anche la questione della nullità della Dichiarazione di Balfour e del mandato. Il Sotto-comitato II per la Commissione ad hoc sulla Questione della Palestina raccomandò che questi punti fossero sottoposti al parere della Corte Internazionale di giustizia. Tuttavia, questa raccomandazione così come le numerose richieste degli arabi di sottoporre tali punti alla Corte Internazionale di giustizia furono scartate dall'Assemblea Generale.
L'opposizione degli ebrei alla spartizione
La spartizione della Palestina fu rigettata non solo dagli arabi palestinesi ma anche dagli ebrei ortodossi nativi della Palestina, che avevano vissuto in buoni rapporti con i loro vicini arabi. In effetti, il concetto di focolare nazionale ebraico era estraneo agli ebrei ortodossi originari della Palestina. Ronalds Storrs, il primo governatore britannico della Palestina, scrisse: "I religiosi ebrei di Gerusalemme e di Hebron ed i Sefarditi si opponevano violentemente al sionismo politico". Opposizione anche per gli uomini politici ebrei. Le più notevoli opposizioni tra quante osteggiavano la spartizione erano di Sir Herbert Samuel, il primo Alto commissario in Palestina, e J. L. Magnes, presidente dell'Università ebraica di Gerusalemme. I due si opponevano al fatto che la Dichiarazione di Balfour potesse condurre ad uno stato ebraico. In un discorso alla Camera dei Lord il 23 aprile 1947, Sir Herbert Samuel, allora Visconte Samuel, disse: "Non sostengo la spartizione, perché, data la mia possibilità di conoscere il paese, ciò sembra essere geograficamente impossibile. Questo creerà altrettanti problemi di quanti ne potrebbe risolvere". Nella sua deposizione davanti al Comitato anglo-americano d’inchiesta sulla Palestina, J. L. Magnes dichiarò: "Gli arabi possiedono importanti diritti naturali in Palestina. Sono stati là per secoli. Le tombe dei loro antenati sono là. Ci sono tracce della cultura araba in ogni angolo. La Moschea di El-Aqsa è la terza moschea sacra dell'Islam…".
In un memorandum all'UNSCOP datato 23 luglio, L. J. Magnes spiegava la sua opposizione alla spartizione in questi termini: "Ci viene chiesto il perché della nostra opposizione alla spartizione della Palestina… Pensiamo che una vera separazione sia impossibile. Ovunque vogliate mettere i confini dello stato ebraico, ci sarà sempre una minoranza araba molto grande… è impossibile tracciare dei confini soddisfacenti dal punto di vista economico… Più lo stato ebraico è grande, più l'esistenza economica dello stato arabo risulta impossibile"…
"Se l'obiettivo è di promuovere la pace, delle frontiere accettabili non possono essere determinate. Laddove porrete queste frontiere, troverete personalità radicali dai due lati della frontiera. Le posizioni radicali conducono quasi sempre alla guerra… C'è chi dice che dobbiamo accettare la spartizione adesso, perché 'le frontiere non sono eterne’… In altri termini, la Palestina ebraica frazionata potrebbe essere il primo passo di una futura conquista di tutto il paese".
"Molti ebrei sono a favore della spartizione…Però, ci sono molti ebrei, siano moderati oppure estremisti, religiosi o no, che si oppongono… Imporre la spartizione potrebbe essere un'impresa rischiosa"
"Per tutte queste condizioni, troviamo strano che nessuno pretenda una spartizione che sia, almeno per quanto lo riguarda, definitiva. Ci sembra non essere altro che l’inizio di una guerra reale… forse tra ebrei, e di una guerra tra ebrei ed arabi".
Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica appoggiano la spartizione
Benché l'ambizione sionista di creare uno stato ebraico non fosse condivisa da tutti gli ebrei, i sionisti mobilitarono tutte le loro forze per garantire un voto delle Nazioni Unite favorevole alla spartizione. Riuscirono a portare dalla loro parte Harry Truman, presidente degli USA, che per ragioni elettorali legate al voto ebraico impiegò la sua immensa influenza per convincere parecchi membri delle Nazioni Unite a votare in favore della spartizione. Anche l'Unione Sovietica ha favorito la spartizione essenzialmente per due ragioni: in primo luogo per mettere fine all'amministrazione britannica in Palestina e, secondariamente, per il fatto che la grande maggioranza degli emigranti ebrei in Palestina veniva da Unione Sovietica, Polonia ed Europa centrale, e sperava in uno stato ebraico suo alleato in Medio Oriente. Sotto l'influenza congiunta di Stati Uniti, Unione Sovietica, e dei loro satelliti, l'Assemblea generale adottò il 29 novembre 1947 la Risoluzione 181 (II) per la spartizione della Palestina in uno stato arabo ed uno stato ebraico, con 33 voti a favore, 13 contro e 10 astensioni. Il Regno Unito si astenne. I voti contrari erano quelli degli stati arabi: Egitto, Iraq, Libano, Arabia Saudita, Siria e Yemen; di quattro paesi musulmani: Afghanistan, Iran, Pakistan, Turchia; più Cuba, Grecia e India.
Le frontiere tra i due stati furono fissate nella risoluzione. Secondo queste, la superficie dello stato arabo avrebbe dovuto essere di 11.800 km² cioè il 42% della superficie totale della Palestina, mentre allo stato ebraico sarebbero andati 14.500 km² che rappresentano il 57% della Palestina. Inoltre, la risoluzione ha previsto un corpus separatum per la città di Gerusalemme che sarebbe stata sottoposta ad uno speciale regime internazionale sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite. La risoluzione stipulava inoltre la formazione di un’unione economica tra i due stati dal momento che, senza di essa, la spartizione avrebbe reso lo stato arabo irrealizzabile.
Era stato previsto che questi due stati ed il regime speciale di Gerusalemme avrebbero visto la luce due mesi dopo la fine dell'evacuazione delle forze armate mandatarie. Nel dicembre 1947, il governo britannico informò le Nazioni Unite che il 15 maggio 1948 avrebbe messo fine al mandato e ritirato le sue forze. Il ruolo giocato dagli USA e dall'Unione Sovietico nell’influenzare il voto in favore della spartizione è stato riconosciuto dal Dipartimento di stato americano nel Rapporto del suo staff di programmazione politica riguardo l'atteggiamento degli USA nei confronti della Palestina, in data 19 gennaio 1948. Questo rapporto dice in sostanza: "Gli USA e l'URSS hanno giocato un ruolo determinante nel voto favorevole alla spartizione. Senza la leadership americana e le pressioni che sono state esercitate nel corso delle deliberazioni sulla Palestina, la maggioranza dei due-terzi necessari al voto non si sarebbe ottenuta… E’ stato dimostrato che le personalità e le organizzazioni americane non governative, ivi compresi i membri del Congresso, soprattutto alla fine della sessione dell'Assemblea, hanno esercitato pressioni su diversi delegati stranieri e sui loro governi per spingerli a sostenere l'atteggiamento degli USA sulla Questione palestinese. Prove a questo riguardo sono presenti in allegato"
Malgrado gli USA abbiano sostenuto la spartizione della Palestina e la creazione dello stato ebraico, sarebbe importante per la storia segnalare le voci dissonanti di almeno tre alti rappresentanti dell'amministrazione americana. James Forrestal, segretario alla Difesa, condannò nei suoi memoriali le manovre utilizzate per assicurare il voto favorevole alla spartizione. Forrestal affermava che "la nostra politica palestinese è stata dettata da sordide mire politiche"… Warrin Austin, rappresentante americano alle Nazioni Unite, si oppose alla spartizione nelle discussioni con la sua delegazione. Questo documento lo attesta: "In linea col principio dichiarato degli USA di sostenere le Nazioni Unite nella difesa dell’indipendenza e dell’integrità politica, l'ambasciatore Austin non vedeva come fosse possibile tagliare un pezzo di terra per farne uno stato partendo da un territorio esso stesso troppo piccolo per uno stato. Pensava che un simile stato si sarebbe di certo dovuto difendere per sempre con le baionette, fin quando sarebbe morto nel sangue. Gli arabi, sosteneva, non avrebbero mai accettato al loro interno uno stato così piccolo".
Una critica più severa al piano di spartizione della Palestina è stata espressa da Lord Henderson, direttore dell'Ufficio del Medio Oriente e degli Affari africani al Dipartimento di Stato. In una relazione al Segretario di stato del 22 settembre 1947, criticò il rapporto di maggioranza dell'UNSCOP che sosteneva la spartizione, dichiarando che non era negli interessi degli USA sostenere il piano di spartizione o la creazione di uno stato ebraico. Fece riferimento all'inchiesta del Comitato anglo-americano che non appoggiava la spartizione. Loy Henderson proseguiva affermando: "Non abbiamo obblighi nei confronti degli ebrei per creare uno stato ebraico. La Dichiarazione Balfour ed il mandato non prevedevano uno stato ebraico, ma un focolare nazionale ebraico". Sottolineò inoltre che la spartizione sarebbe avvenuta "in totale violazione di diversi principi previsti nella Carta, come dei principi su cui si basano le idee americane di politica".
Nullità della risoluzione di spartizione
Sulla Risoluzione che decise la spartizione pesano grossolane irregolarità che possono essere riassunte nel seguente modo:
1) Non competenza dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella divisione della Palestina. Le Nazioni Unite non avevano alcuna sovranità sulla Palestina, né il potere di privare il popolo della Palestina del diritto all'indipendenza su tutta la propria patria, come di lederne i diritti nazionali. Da allora, la risoluzione delle Nazioni Unite per la spartizione della Palestina non possiede alcun valore, nel diritto o nei fatti, così come riconosciuto da numerosi ed eminenti giuristi. P. B. Potter ha notato che "Le Nazioni Unite non hanno alcun diritto di stabilire una soluzione in Palestina…" […]
2) Ingiustizia per il rifiuto da parte dell'Assemblea Generale nei riguardi di numerose istanze di sottoporre al parere della Corte Internazionale di giustizia le questioni dell'incompetenza dell'Assemblea Generale o dell'illegalità della Dichiarazione di Balfour, o del Mandato. P. B. Potter ha notato che tale diniego "tende a confermare la violazione della legge internazionale". Questa trasgressione costituisce una negazione della giustizia che ha svuotato la Risoluzione sulla spartizione di ogni valore giuridico".
3) Violazione dell'articolo 22 della Convenzione della SDN che riconosceva provvisoriamente l'indipendenza del popolo palestinese e prendeva in considerazione un mandato temporaneo sulla Palestina con l’obiettivo di indirizzare i suoi abitanti verso una totale indipendenza.
4) Violazione della Carta delle Nazioni Unite e del principio di autodeterminazione del popolo della Palestina.
5) Violazione dei più elementari principi di democrazia, ignorando in modo flagrante la volontà della maggioranza degli abitanti originari, che si opposero alla spartizione della Palestina.
6) Influenza illegittima esercitata dall'amministrazione americana, e personalmente dal presidente degli USA, per garantire il voto dell'Assemblea Generale in favore della spartizione.
7) Palese ingiustizia del piano di spartizione.
Da un lato, più di mezzo milione di palestinesi sarebbero stati assoggettati al potere ebraico in uno stato ebraico per opera degli immigrati portati in Palestina contro la volontà delle popolazioni d’origine. Come delineato nel piano di spartizione, la popolazione del prospettato stato ebraico consisteva in 509.780 musulmani e cristiani e 499.020 ebrei. Secondo le statistiche fissate dal governo palestinese, alla fine del Mandato gli ebrei possedevano 1.491.699 dunums di terra (1 dunum equivale a 1000m²) su un totale di 26.323.023 dunums, che rappresentano la superficie della Palestina, ovvero il 5,66%. Questo è stato riconosciuto da David Ben Gurion, allora Presidente dell'Agenzia ebraica e più tardi Primo ministro di Israele, nella sua testimonianza davanti all'UNSCOP nel 1947. Ha dichiarato: "Gli arabi possiedono il 94% della terra, e gli ebrei solamente il 6%".
Malgrado ciò, gli ebrei, che rappresentavano solo meno di un terzo della popolazione totale della Palestina e che per la maggior parte erano stranieri, hanno avuto diritto ad una porzione di territorio dieci volte maggiore di quanto realmente possedevano. Questa non si chiama spartizione, ma spoliazione.
Gli Stati arabi hanno proclamato la loro opposizione alla Risoluzione di spartizione perché la considerarono una violazione della Carta e illegittima. I palestinesi rigettarono anche la spartizione della loro patria, mentre gli ebrei la accettarono "con riserva". I palestinesi e gli arabi sono stati accusati in generale di intransigenza, di mancanza di spirito di compromesso e di errore a causa del loro rifiuto della spartizione, mentre gli ebrei sono stati lodati per il loro atteggiamento conciliante e per la loro stessa accettazione "a malincuore"della spartizione. Questa critica è stata confutata da un osservatore neutrale nella persona di J. Bowyer Bell in questi termini: "È troppo facile parlare a posteriori degli errori degli arabi, delle loro opportunità fallite, della loro intransigenza. È tuttavia troppo facile chiedere ad altri di dare la metà del loro pane. Le argomentazioni degli arabi sono sicuramente giustificate … Semplificata, la posizione dei sionisti appare come quella di coloro che, di fronte al dilemma palestinese, propongono di tagliare la mela in due, mentre gli arabi vorrebbero averla per intero. Così ingenuo, così furbo, tuttavia, quest’argomento finisce per spingere il punto di vista arabo verso il lato sbagliato. La cosa più grave in tutto ciò, è che ha ben funzionato".
Il giudizio di Salomone
La Risoluzione sulla spartizione potrebbe sembrare ad alcuni come un tipico giudizio salomonico. Per tanto, quando il re Salomone fu chiamato a dare il suo giudizio sulla disputa tra due donne che reclamavano entrambe lo stesso bambino, ordinò di tagliarlo in due, per "darne metà ad una e metà all’altra" (1 Re 3,25). Con ciò egli volle solamente fare esplodere la verità e conoscere la vera madre del bambino. Quando riuscì nel suo intento, ordinò di non sacrificare il bambino ma di renderlo alla sua vera madre. Ma nel caso della Palestina, la saggezza del re Salomone non è stata applicata, e la Palestina è stata tagliata effettivamente in due e da allora, difatti, non ha più smesso di sanguinare.
Fonte: Allahouakbar.com


Articolo originale:
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